venerdì 6 gennaio 2012

ASCOLTANDO IL TEMPORALE
 Fabrizio Boschi

Alzarsi la mattina, come sempre, e stare attento a non svegliare il tuo amore che dorme accanto. Un bacio sulla guancia e poi via giù dal letto a soppalco, che rende una stanza incredibilmente piccola, un po’ meno piccola.
Fuori piove, ascolto il temporale mentre mi faccio la barba, è ancora troppo buio e stamani proprio non mi andrebbe di andare a lavorare.
Prendo i pantaloni sulla sedia, litigo con il cellulare che cerca ancora di svegliarmi quando sono già sveglio mezz’ora e passo in cucina. Preparò il caffè mentre accendo il pc, guardo le ultime notizie e prendo il portafoglio e le chiavi della macchina dal ripiano sopra la scarpiera in plastica.
Apro la porta e…ma dove sto andando?
E’ il 3 ottobre e non ho più un lavoro. Il 12 luglio, 78 giorni fa, ho perso il lavoro. Una riunione, i “capi” che parlano, le solite motivazioni: “c’è crisi”, “il mondo è cattivo”, “i mercati ti stritolano”, “lo spread cresce”, “il governo non fa nulla” e poi arriva quella frase, “non abbiamo mai lasciato a casa nessuno”, a cui però mancava il finale “fino ad oggi”.
Perché quando inizia il calvario di una procedura di mobilità non siamo più uomini e donne, non abbiamo sogni, speranze, amori, siamo solo “esuberi” e come tali veniamo trattati, con freddezza, con distanza.
78 giorni dopo sono in cassa integrazione e non ho più un lavoro. Ho ancora una casa per fortuna, in affitto, ma non so fino a quando riuscirò a permettermela, visto che qui a Roma, sono tutti impazziti anche nel campo immobiliare.
Difficile descrivere come ci si sente in questi momenti. Scoordinati, inquieti, angosciati, spesso assenti. I pezzi della tua vita non tornano, non combaciano. Manca qualcosa, non ci sono più appigli ed è finita quasi per caso, quasi per finta, quasi senza accorgersene.
78 giorni fa, un improvviso senso di isolamento, quasi di vergogna nel guardare in faccia la gente che ti vuole bene, e quella risposta sempre pronta quando in giro ti chiedono come va, “va bene”, quando è ormai chiaro che non va bene un cazzo, perché è impossibile capire che cosa significa trovarsi improvvisamente, a 48 anni, senza lavoro, quando hai speso un’intera vita per costruirti la tua posizione sociale, per conquistare la tua identità di uomo nel mondo e la tua dignità di essere umano.
Tutto a monte, tutte frasi senza senso adesso, tutto da riconsiderare, da riconquistare, una vita intera da rinegoziare. E tu, come un appestato, guardato strano dalla gente, nemmeno se fossi un ladro. Io non ho rubato nulla, sono quegli altri, quelli lì, che mi hanno rubato un lavoro nel quale ho creduto per tanti anni.
Dopo 78 giorni mi manca già la mia vita di prima, quella che mi faceva sentire libero e indipendente, quella che  mi permetteva di essere orgoglioso della mia vita, con le mani piene di calli e la schiena spezzata in due dal dolore, ma la testa alta, sempre orgogliosamente alta. Perché il lavoro è capace anche di fare questo: renderti felice pur togliendoti il tempo che vorresti dedicare ad altro. Per me non esisteva il tempo libero, io mi sentivo già libero quando lavoravo. Perché ero certo che poi quel tempo avrebbe regalato libertà a le persone alle quali volevo bene.  
Dopo 10 anni in quell’azienda, i capelli più bianchi, la faccia più stanca, gli occhi più cupi, ti guardi indietro e non ci credi che sia passato così tanto tempo. Che tu abbia fatto così tanta strada. Ma strada per andare dove poi? Adesso l’azienda è sempre lì, ma tu sei fuori, lei sembra enorme e tu piccolissimo, senza possibilità di recupero.
78 giorni che sembrano secoli, il panico, la rassegnazione, poi la determinazione, “no, non è possibile, non a me”, il silenzio, e la vita continua a scorrere inesorabile davanti ai tuoi occhi.
Intanto sei a casa che aspetti: attese infinite tra una tua proposta e una controproposta. Le attese sono terribili, forse sono la peggior cosa di questa condizione. Quando aspetti sembra che il tempo resti inchiodato lì e non si smuova. Sorridi, parli, inventi e intanto i tuoi colleghi sono ancora lì a cercare risposte che non hanno, a bestemmiare per te, a mandare tutto e tutti a quel paese. Ma che colpa ne hanno anche loro se la tua vita sta andando a pezzi? Siamo tutti sulla stessa barca e non c’è niente da fare.
Anzi, è anche più doloroso sapere che non sono stato l’unico ad essere stato cacciato 78 giorni fa. Anche altri colleghi, pochi giorni dopo, hanno fatto le valige. Tagli che con molta probabilità hanno poco a che fare con la crisi economica, visto che noi lavoriamo al porto di Civitavecchia, dove transitano centinaia di migliaia di container al giorno.
Senti tutta la solitudine addosso a te, tutta quella di chi sa le verità e non te le dice, di chi spera, ma non può regalarti illusioni.
Ed i giorni che scorrono lenti, sempre più lenti. Pensi che tutto crolli e senti un groppo alla gola che non ti fa deglutire nemmeno con un secchio d’acqua.  Non mi va più di uscire di casa la mattina, non mi va più di prepararmi né di guardarmi allo specchio, non mi va più di fare niente. Vedo solo un uomo senza futuro davanti a me, arresa, senza voglia di lottare, mi occorrerebbe troppa energia che non ho più. Per il mio compleanno non ho voluto fare niente perché mi sono detto che non c’era niente da festeggiare. L’ultimo dell’anno alle 22 ero già a letto perché mi sono detto che non avevo niente da festeggiare. Forse la perfetta fine di questo anno pietoso, ma siamo onesti, me ne aspetta uno senza dubbio peggiore. Vivo andando a letto la sera prima che posso, così la giornata finisce prima e così il buio che vedo quando chiudo gli occhi lo sfrutto per riposare. Per ora è così, poi si vedrà. Speriamo che il prima possibile si riaccenda quella lucina che mi diceva che ancora non è finita e che ancora qualcosa di bello potrà accadere.
L’azienda ha aperto la cassa integrazione, “che culo!”, penso e sorrido nervoso. Però dicono che bisogna lo stesso festeggiare.
La mattina dopo, al centro per l’impiego capisco perché dovrei festeggiare: “Signor Zanichelli, lei è fortunato, prima vengono i senza lavoro, poi quelli in mobilità, poi la gente in disoccupazione, per lei c’è tempo, si riposi”.
“Ci provi lei a campare con 800 euro al mese!”, vorrei rispondere a quella signorina tanto carina, quanto così poco sensibile. Ma trattengo il respiro, saluto e vengo via.
Mentre passeggio sul marciapiede, mi chiedo sottovoce: “Che paese è mai il nostro se un uomo deve sentirsi fortunato ad essere in cassa integrazione?”.
Dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri devono spartirsi le macerie, sperando di diventare un po’ meno poveri degli altri. Eppure non sono mai stato un comunista, ma questi ti ci fanno diventare!
Ho sempre amato le utopie, vorrei un paese dove ci fosse lavoro per tutti, un lavoro adeguato ai propri studi e alle proprie competenze, diritti uguali per tutti, ma oggi per fortuna mi trovo in un paese che mi dice che almeno sono “fortunato”.
78 giorni dopo, insomma, mi hanno tolto, per non ancora ben chiare “congiunture economiche”, il lavoro, la tranquillità, la dignità, ma ancora non mi hanno piegato.
78 giorni dopo, mi alzo dal letto, guardo la mia compagna, la bacio sul collo, prendo le chiavi da sopra il mobile delle scarpe ed esco a cercare un nuovo lavoro.
Con un grande senso di angoscia, ma con la certezza che potrò ancora guardare negli occhi tutti senza vergognarmi più.
78 giorni dopo non ho più un lavoro, ma ho ritrovato la speranza e non ho tradito la mia dignità di uomo. Per ora mi basta questo. Oggi è il mio primo giorno di “non lavoro” alla ricerca di un nuovo lavoro.
Oggi è il 79esimo giorno, e sebbene non sia cambiato niente rispetto a ieri, mi sento felice di quello che ho. Se c’è una cosa che impari subito quando perdi il lavoro, è apprezzare tutto ciò che hai, anche il poco che ti resta, anche quello che prima nemmeno avevi visto, che davi per scontato, che non ti apparteneva. Ho deciso di ripartire da lì. Svuoto le tasche stamani, guardo cosa mi è rimasto, e con quelle poche cose rovesciate sul tavolo, ricostruisco la mia vita.
Che farò adesso? Non ne ho la benché minima idea. Intanto ascolto il temporale.
Mi piace sentire piovere, specialmente quando sono sdraiato sul lette del mio soppalco, con accanto il mio amore. Quel ticchettio sulle tegole del tetto mi trasmette una benefica sensazione di sicurezza, avere un tetto ancora sopra di te che ti protegge e così vicino da poterlo quasi toccare, è consolatorio.
Sto immobile con lo sguardo fisso sulle travi, ascoltando il temporale sopra di me. Penso che domattina mi voglio alzare alla solita ora di sempre, le 6,30. Mi voglio preparare con calma, voglio indossare il mio vestito migliore e le mie scarpe nuove e andare da qual mio amico che costruisce imbarcazioni. Non so come ho fatto, ma anche stanotte mi sono addormentato con quel benefico rumore di pioggia sopra di me. Erano giorni che non dormivo. Adesso sono quasi sicuro che domani ci sarà il sole.

Nessun commento:

Posta un commento